TRIBUNALE DI GROSSETO 
           Ufficio del giudice per le indagini preliminari 
 
    Il giudice per le indagini preliminari  Sergio  Compagnucci;  nel
procedimento penale  iscritto  ai  numeri  di  cui  in  epigrafe  nei
confronti di: N.G., in ordine al reato di cui  all'art.  590-bis  del
codice penale; difesa dall'avv. Silvia Tonini del foro  di  Grosseto;
all'udienza in camera di consiglio del 26 novembre 2018,  sentite  le
parti, ha emesso la seguente ordinanza. 
    E' rilevante e  non  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 222, comma 2,  quarto  periodo,
del decreto legislativo n. 285 del 1992 (Codice della  strada),  come
novellato dall'art. 1, comma 6, lettera b),  n.  1,  della  legge  23
marzo 2016, n. 41, in relazione all'art. 3 della Costituzione,  nella
parte in cui prevede la revoca della patente di guida a seguito della
applicazione della pena a norma dell'art. 444 del codice di procedura
penale anche per  il  reato  di  lesioni  personali  stradali  gravi,
attenuato ai sensi del comma settimo  dell'art.  590-bis  del  codice
penale, nei termini e per le ragioni che seguono. 
1. Breve descrizione dell'attivita' processuale. 
    N.G., dopo aver ricevuto la notifica dell'avviso  di  conclusione
delle indagini, ha formulato istanza di patteggiamento in  ordine  al
reato  di  lesioni  personali  stradali  gravi  a   lei   contestato,
relativamente all'incidente stradale avvenuto  in  Orbetello,  il  16
agosto 2016, in cui L.A. aveva riportato una lesione personale da cui
era derivata un'incapacita' di attendere alle  ordinarie  occupazioni
per un periodo di giorni quarantaquattro. Alla successiva udienza del
26 novembre 2018  fissata  ai  sensi  dell'art.  447  del  codice  di
procedura  penale,  una  volta  raccolto  il  consenso  del  pubblico
ministero sull'istanza di patteggiamento, e' stata emessa la presente
ordinanza. 
2. Il controllo sull'istanza di patteggiamento. 
    Soddisfatto il requisito dell'accorto fra le parti, si  tratta  a
questo  punto  di  estendere  il  controllo  sulle  altre  condizioni
richieste  ai  fini  dell'accoglimento  dell'istanza,  come  previsto
dall'art. 444, comma 2 del codice di procedura penale. 
    2.1. La procedibilita' d'ufficio del reato ex  art.  590-bis  del
codice penale. 
    Preliminarmente,  considerato  che  la  persona  offesa  non   ha
proposto querela, e' necessario affrontare la  questione  riguardante
la procedibilita' del nuovo reato ex art. 590-bis del codice  penale,
trattandosi di profilo attinente alle  cause  di  proscioglimento  ai
sensi dell'art. 129 del codice di procedura penale. 
    L'art. 590-bis e' stato introdotto nel codice penale dalla  legge
n. 41 del 2016, entrata in vigore il 25 marzo  dello  stesso  anno  e
intitolata «introduzione del reato di omicidio stradale e  del  reato
di lesioni personali stradali, nonche' disposizioni di  coordinamento
al  decreto  legislativo  30  aprile  1992,  n.  285,  e  al  decreto
legislativo 28 agosto 2000, n. 274». 
    Il nuovo  testo  normativa  ha  subito  posto  diverse  questioni
interpretative,  in  parte  dovute  a  una  tecnica   normativa   non
esemplare; tra le tante, si e' posta anche la questione della  natura
circostanziale o  autonoma  della  fattispecie  introdotta  dall'art.
590-bis, comma 1, del codice penale, rispetto  al  reato  di  lesioni
colpose, questione che assume rilevanza nel presente procedimento  in
quanto decisiva al fine di stabilire la procedibilita'  del  delitto,
stante l'assenza, come gia' detto, di querela di parte. Ove, infatti,
si ritenesse  che  l'art.  590-bis  non  abbia  introdotto  un  reato
autonomo, bensi' soltanto alcune ipotesi di aggravamento del reato di
lesioni colpose ex art. 590 del codice penale,  ne  discenderebbe  la
procedibilita' a querela, secondo quanto previsto  dall'ultimo  comma
di  tale  articolo.  Diversamente,  laddove  si  aderisse  alla  tesi
opposta, il reato di lesioni stradali gravi o gravissime, in  difetto
di  una  previsione  sulla  necessita'   di   querela,   risulterebbe
procedibile d'ufficio secondo la regola stabilita dall'art. 50, comma
2 del codice di procedura penale. 
    Si ritiene utile muovere da  questa  considerazione  preliminare:
non  esiste  una  differenza,  sotto  il  profilo   antologico,   tra
l'elemento costitutivo e la circostanza  del  reato,  spettando  alla
discrezionalita' del legislatore stabilire se un determinato elemento
fattuale  appartenga  alla  struttura  necessaria  ovvero  a   quella
accidentale del reato. Prova di cio' si e' avuta, di  recente,  dalla
trasformazione del fatto lieve, in materia di detenzione illecita  di
sostanze stupefacenti, da ipotesi circostanziale a reato autonomo: il
confronto tra la disposizione previgente e  quella  attuale  dimostra
come il  fatto  materiale  da  esse  disciplinato  sia  assolutamente
sovrapponibile, essendo mutata soltanto la volonta'  del  legislatore
di  ritenere  autonomo  cio'  che  prima  era  considerato  un  fatto
circostanziale,   volonta'   manifestata   espressamente   attraverso
l'inserimento della clausola  di  riserva  nell'incipit  della  nuova
disposizione incriminatrice. 
    D'altra parte, codesta considerazione trova puntuale e  oggettiva
conferma nella norma sul reato complesso, in  cui  si  legge  che  il
fatto costituente di  per  se'  reato  puo'  essere  considerato  dal
legislatore come elemento costitutivo o come  circostanza  aggravante
di altro  reato,  sancendo  in  questo  modo,  da  un  lato,  in  via
esplicita, l'assoluta sovranita' del legislatore nello stabilire cio'
che appartiene alla struttura necessaria del reato e  dall'altro,  in
via implicita, l'assenza di un criterio ontologico in base  al  quale
operare la distinzione tra l'elemento costitutivo  e  la  circostanza
aggravante. 
    Se cosi'  e'  -  se  cioe'  non  esiste  un  criterio  oggettivo,
sostanziale, tramite cui capire se l'elemento fattuale appartenga  al
reato  in  via  necessaria  o  solo  accidentalmente,  perche'   tale
distinzione  e'  in  realta'  soltanto  un   effetto   della   scelta
legislativa -, ne consegue che la soluzione della questione in  esame
sta tutta nell'esatta ricostruzione dell'intenzione del  legislatore,
titolare  esclusivo  di  quel   potere   di   scelta;   ricostruzione
effettuabile naturalmente in base  ai  criteri  forniti  dall'art  12
delle preleggi. 
    Ed allora, muovendo proprio dai suggerimenti ermeneutici  offerti
da quest'ultimo articolo,  si  tratta  anzi  tutto  di  esaminare  il
contenuto   letterale   della   nostra   disposizione,   non    presa
singolarmente, ma valutata unitamente all'intera disciplina in cui si
inserisce la norma da interpretare, al fine di pervenire alla ragione
obiettiva della legge. 
    Sotto il profilo meramente letterale, la norma  di  cui  all'art.
590-bis, comma primo del codice penale, non offre elementi univoci  a
favore ne' dell'una ne' dell'altra tesi, in quanto non  si  ravvisano
in essa manifestazioni esplicite in merito alla qualificazione  della
fattispecie. 
    Percio' la volonta' legislativa deve essere desunta  dai  criteri
di natura testuale o topografica, di natura strutturale o  di  natura
teleologica, secondo le preziose indicazioni  fornite  dalle  sezioni
unite della Cassazione (sentenza n. 26351 del 2002). 
    Ebbene, quanto ai primi, l'intestazione della  legge  di  riforma
(«introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di  lesioni
personali stradali») e la stessa rubrica dell'art. 590-bis, in cui si
parla  di  lesioni  personali  stradali  senza   alcuna   indicazione
terminologica riconducibile al concetto di aggravante, depongono  per
l'ipotesi della natura autonoma del nuovo reato. 
    Sotto il profilo della struttura della norma  incriminatrice,  si
rileva  come  l'individuazione  del  soggetto  attivo   del   delitto
attraverso il pronome «chiunque» faccia parimenti propendere  per  la
tesi della natura autonoma del delitto, trattandosi  di  una  tecnica
normativa normalmente non utilizzata per  la  disciplina  di  ipotesi
circostanziali. Va nondimeno riconosciuto come il  legislatore  abbia
utilizzato la stessa tecnica nel confezionare il  comma  2  dell'art.
590-bis, qualificato espressamente  come  aggravante  nel  successivo
art. 590-quater. 
    Ed e' proprio quest'ultima disposizione a fornire  un  importante
elemento a favore della natura autonoma del reato in esame, in quanto
tale norma qualifica espressamente come circostanze aggravanti quelle
di cui ai commi 2-6, lasciando cosi' intendere che la condotta di cui
al primo comma integra un reato autonomo e non gia'  una  circostanza
aggravante. 
    Tale conclusione trova un'importante conferma, sotto  il  profilo
sistematico, in altre disposizioni introdotte dalla legge n. 41/2016;
in particolare nelle modifiche apportate agli articoli 224-bis, comma
1, e 552 del codice di rito, nonche' all'art. 222  del  nuovo  codice
della strada, ove si fa  esplicito  riferimento  al  delitto  di  cui
all'art. 590-bis del codice penale. 
    Ulteriore argomento a favore  della  natura  autonoma  si  ricava
dalla disposizione di cui all'art. 550, comma 2, lettera  e-bis)  del
codice di procedura penale, aggiunta  dalla  legge  n.  41/2016,  che
prevede la citazione diretta a giudizio in caso di «lesioni personali
stradali, anche se aggravate, a norma dell'art.  590-bis  del  codice
penale»: cio' conferma che le «lesioni personali stradali»  integrano
un reato autonomo, dato che altrimenti l'inciso «anche se  aggravate»
non  avrebbe  ragion  d'essere.  Infatti,  il  concetto  di  «lesioni
personali  stradali»  oggi  ha  senso  solo  con   riferimento   alla
previsione  di  cui  all'art.  590-bis,  non  essendo  piu'  prevista
l'aggravante della violazione delle norme sulla circolazione stradale
nell'ambito del reato di lesioni ex art.  590:  ne  consegue  che  la
disposizione inserita nell'art. 550 del codice di  procedura  penale,
deve necessariamente essere interpretata nel senso che  la  citazione
diretta e' prevista per il reato di  lesioni  personali  stradali  ex
art. 590, comma 1, del codice penale, «anche se aggravato»  ai  sensi
dei commi successivi. 
    Perfettamente in linea con la  tesi  della  natura  autonoma  del
reato si pone anche la collocazione  della  disciplina  del  concorso
formale di  cui  all'ultimo  comma  dell'art.  590-bis:  risulterebbe
infatti incongrua la scelta di inserire tale istituto, concernente il
concorso di reati, all'interno di un articolo riguardante (secondo la
tesi opposta) fattispecie circostanziali. 
    D'altronde, la tesi che qui  si  sostiene  trova  ampia  conferma
anche  nei  lavori  preparatori,  in  cui  si  e'   fatto   esplicito
riferimento all'esigenza di prevedere l'autonomia di tale  reato  per
impedirne il bilanciamento con eventuali attenuanti. 
    Si segnala come la tesi qui accolta  risulti  in  linea  con  una
recente sentenza della Cassazione che, nell'occuparsi della specifica
questione, ha sostenuto la natura autonoma del reato in esame  (cfr.,
Cass. Pen., sentenza n. 42346 del 2017). 
    Alla luce di tali considerazioni, si deve concludere che il reato
oggetto del presente procedimento e' procedibile d'ufficio. 
    2.2. L'assenza dei presupposti per l'emissione di una sentenza di
proscioglimento. 
    Sempre in  punto  di  verifica  sull'assenza  di  condizioni  per
l'emissione di una sentenza di proscioglimento, si evidenzia come gli
atti  di   indagine   confortino   l'impostazione   accusatoria;   in
particolare, dai rilievi urgenti operati dalla p.g. nell'immediatezza
del fatto e dalla consulenza tecnica dell'ing. Luca Donati, a cui  il
pubblico ministero ha demandato il compito di  accertare  l'effettiva
dinamica del sinistro, emergono elementi di colpevolezza a carico sia
della N., per aver omesso di dare la  precedenza  al  conducente  del
motociclo proveniente da destra, sia di  quest'ultimo  per  non  aver
tenuto una velocita' adeguata alle condizioni dei luoghi: entrambe le
condotte illecite si pongono in relazione di causalita' con  l'evento
dannoso, per cui e' ravvisabile la  cooperazione  colposa,  ai  sensi
dell'art. 113, comma primo del codice penale. 
    2.3. La qualificazione del fatto e la congruita' della pena. 
    La qualificazione del fatto come reato di lesioni stradali  gravi
e' corretta. Dalla documentazione sanitaria in  atti  emerge  che  il
motociclista ha riportato a seguito dell'incidente un trauma toracico
chiuso con contusione  polmonare  e  cardiaca,  da  cui  e'  derivata
l'incapacita' di attendere  alle  ordinarie  occupazioni  per  giorni
quarantaquattro, sicche' e' ravvisabile la lesione  grave,  ai  sensi
dell'art. 583, comma 1, n. 1 del codice penale. 
    Risulta altresi' corretta la  prospettazione  dell'attenuante  di
cui  all'art.  590-bis,  comma  7  del  codice  penale:   come   gia'
anticipato, infatti, gli atti di indagine dimostrano resistenza di un
concorso colposo a carico di L.A., il quale, alla guida  della  moto,
se avesse viaggiato alla  velocita'  consentita  in  quel  tratto  di
strada avrebbe con  alta  probabilita'  potuto  evitare  lo  scontro,
secondo  le  condivisibili  considerazioni  formulate  dal  c.t.  del
pubblico ministero.  Ne  consegue  che  l'imputata  non  e'  la  sola
responsabile del sinistro, visto  che  l'evento  e'  stato  cagionato
anche dalla cooperazione colposa della persona offesa. 
    La  pena  proposta  dalle  parti  e'  da   considerare   congrua;
l'individuazione della pena base nel minimo di legge si giustifica in
relazione  alla  entita'  delle   lesioni   e   alla   incensuratezza
dell'imputata. La pena e' stata cosi' determinata: 
        pena base (art. 590-bis, comma  1,  prima  parte  del  codice
penale) = mesi tre di reclusione; 
        ridotta per l'attenuante ex art. 590-bis, comma 7, a mesi uno
e giorni quindici di reclusione; infine ridotta per il rito  speciale
a mesi uno di reclusione. 
    Si puo' accogliere la  richiesta  di  concessione  del  beneficio
della sospensione condizionale, cui e' stata subordinata l'istanza di
patteggiamento, risultando la N. incensurata  e  potendosi  presumere
che la presente  condanna  costituisca  efficace  deterrente  per  il
futuro. 
    Ricorrono in definitiva tutte le  condizioni  per  accogliere  la
richiesta di patteggiamento. 
3. La sanzione accessoria e la rilevanza della questione. 
    L'art. 222 del decreto legislativo n. 285 del 1992 (nuovo  codice
della  strada),   rubricato   «sanzioni   amministrative   accessorie
all'accertamento di reati», modificato dall'art. 1,  comma  6,  della
legge n. 41 del 2016 (recante la «Introduzione del reato di  omicidio
stradale  e  del  reato  di  lesioni  personali   stradali,   nonche'
disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile  1992,
n. 285, e al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274»),  ai  primi
tre commi cosi' recita: 
    «1. Qualora da una violazione delle  norme  di  cui  al  presente
codice derivino  danni  alle  persone,  il  giudice  applica  con  la
sentenza di condanna le sanzioni amministrative pecuniarie  previste,
nonche' le sanzioni amministrative  accessorie  della  sospensione  o
della revoca della patente. 
    2. Quando dal fatto  derivi  una  lesione  personale  colposa  la
sospensione della patente e' da quindici giorni a  tre  mesi.  Quando
dal fatto derivi una lesione personale colposa grave o gravissima  la
sospensione della patente e' fino a due anni. Nel  caso  di  omicidio
colposo la sospensione e' fino a quattro anni. Alla condanna,  ovvero
all'applicazione  della  pena  su  richiesta  delle  parti  a   norma
dell'art. 444 del codice di procedura penale, per i reati di cui agli
articoli 589-bis e 590-bis del codice penale consegue la revoca della
patente di guida. La disposizione del quarto periodo si applica anche
nel caso in cui sia stata concessa la sospensione condizionale  della
pena. Il cancelliere del  giudice  che  ha  pronunciato  la  sentenza
divenuta irrevocabile ai sensi dell'art. 648 del codice di  procedura
penale, nel termine di quindici giorni, ne trasmette copia  autentica
al prefetto competente per il luogo della  commessa  violazione,  che
emette provvedimento di revoca della patente  e  di  inibizione  alla
guida sul territorio  nazionale,  per  un  periodo  corrispondente  a
quello per il quale si applica la revoca della patente, nei confronti
del soggetto contro cui e' stata pronunciata la sentenza». 
    La suprema Corte, con la sentenza n. 36759  del  2018,  ha  avuto
l'occasione di precisare che in ordine ai fatti di lesioni  personali
stradali gravi o gravissime, commessi dopo l'entrata in vigore  della
legge n. 41 del 2016, si applica la revoca della  patente  di  guida,
come  stabilito  dal  quarto  periodo  del  secondo   comma,   appena
riportato; mentre la  sanzione  accessoria  della  sospensione  della
patente prevista dal secondo e dal terzo periodo «opera per gli altri
casi, pure previsti dal codice della strada,  in  cui  si  verificano
danni alla persona (arg. ex art. 222, comma 1 del decreto legislativo
n. 285 del 1992)». 
    Nel nostro caso, pertanto, poiche'  l'incidente  stradale  si  e'
verificato sotto la vigenza della nuova  normativa,  all'applicazione
della pena a norma dell'art. 444  del  codice  di  procedura  penale,
segue la revoca della patente di guida (cfr., Cass. Pen., sez. 4,  n.
36079 del 16 marzo 2017, ric. P.G. C. App. Sassari  in  proc.  Spanu,
non mass.); tale sanzione dev'essere applicata dal giudice penale che
emette la sentenza suddetta, d'ufficio anche se le parti non  l'hanno
considerata nella proposta di patteggiamento  (cfr.,  in  tal  senso,
Cass. Pen., sez. IV, 9,12.2003, PG in proc. Augusto, Rv. 227910):  di
qui la  rilevanza  della  questione  nei  termini  che  si  vanno  ad
indicare. 
4. Sulla non manifesta infondatezza della questione. 
    Come gia' detto, l'art. 222 del codice della strada,  ai  periodi
quarto e quinto del  comma  2,  prevede  che  alla  condanna,  ovvero
all'applicazione  della  pena  su  richiesta  delle  parti  a   norma
dell'art. 444 del codice di procedura penale, per i reati di cui agli
articoli 589-bis e 590-bis del codice penale consegue la revoca della
patente  di  guida.  Il  successivo  comma  3-ter,   primo   periodo,
stabilisce inoltre, per i medesimi casi, il divieto  quinquennale  di
conseguire una nuova patente di  guida.  L'articolo  e'  stato  cosi'
modificato dalla legge n. 41 del 2016, entrata in vigore il 25  marzo
dello stesso anno ed emanata sotto la spinta  dell'opinione  pubblica
che chiedeva un inasprimento delle pene per i responsabili  di  gravi
incidenti stradali. Prima della novella in  esame,  per  il  caso  di
omicidio colposo aggravato a seguito della violazione delle norme del
codice stradale, era prevista la sospensione  della  patente  fino  a
quattro anni, mentre per i casi di  lesioni  gravi  o  gravissime  la
sospensione non poteva superare i due anni. La disciplina previgente,
dunque, consentiva  al  giudice  penale,  all'atto  dell'applicazione
della sanzione accessoria, di commisurarne  la  durata  in  relazione
alla gravita' del reato, desumibile, questa, sia  dall'entita'  delle
lesioni prodotte, sia dal grado di colpa del responsabile. 
    Con la riforma indicata, il legislatore  ha  previsto  invece  la
revoca della patente di guida in  tutti  i  casi  di  condanna  o  di
patteggiamento in ordine sia al reato di  omicidio  colposo  stradale
sia a quello di lesioni stradali, senza distinguere, in  quest'ultima
ipotesi, tra lesioni gravi e gravissime. Ed e'  proprio  tale  scelta
legislativa che qui si ritiene illegittima, perche' in violazione dei
principi di uguaglianza, proporzionalita'  e  ragionevolezza  di  cui
all'art. 3 della Costituzione. 
    La legge vigente, infatti, in merito alla revoca della patente di
guida, prevede una disciplina  unica  e  indifferenziata  per  queste
ipotesi: 
        a) omicidio stradale colposo di cui all'art.  589-bis,  comma
primo del codice penale; 
        b)  lesioni  stradali   gravissime,   a   prescindere   dalla
ricorrenza delle aggravanti di cui ai commi 2-6 dell'art.  590-bis  o
dell'attenuante di cui al comma 7; 
        c) lesioni stradali gravi,  a  prescindere  dalla  ricorrenza
delle  aggravanti  di  cui  ai  commi   2-5   dell'art.   590-bis   o
dell'attenuante di cui al comma 7. 
    In  ciascuna  di  esse,  alla   sentenza   di   condanna   o   di
patteggiamento conseguono la revoca  della  patente  di  guida  e  il
divieto di conseguirne una nuova per un periodo di  cinque  anni.  Si
tratta a  ben  vedere  di  un  trattamento  sanzionatorio  fortemente
afflittivo,  tenuto  conto  della  significativa  importanza  che  la
possibilita'  di  servirsi  di  un  veicolo  a   motore   rappresenta
normalmente per la generalita' delle persone, non di  rado  anche  in
relazione  a  specifiche  esigenze   lavorative.   Tale   trattamento
sanzionatorio,  riguardando  in  forma  unica  e  indifferenziata  un
ventaglio di ipotesi significativamente diverse  in  termini  sia  di
offesa  che  di  colpa,  opera  nella  sostanza  una  discriminazione
illegittima a discapito di quella meno grave. 
    Ed  in  effetti  la  norma  vigente   non   tiene   conto   delle
significative differenze che possono correre  tra  le  varie  ipotesi
disciplinate in modo unitario. Si pensi al  caso  oggetto  di  questo
procedimento, in cui, sotto il profilo oggettivo,  le  lesioni  hanno
comportato un periodo di  malattia  di  poco  superiore  ai  quaranta
giorni e, sotto quello soggettivo, l'imputato non e'  risultato  come
l'unico responsabile dell'incidente; di contro, si pensi al  caso  in
cui la vittima abbia riportato lesioni gravissime  (ad  esempio,  uno
stato di  paraplegia)  e  l'unico  responsabile  del  sinistro  debba
rispondere di plurime violazioni del codice  stradale,  ivi  compresa
quella di  cui  all'art.  186,  lettera  c).  Ebbene,  nonostante  la
microscopica diversita' di queste due ipotesi  in  termini  tanto  di
gravita' dell'offesa arrecata alla vittima  quanto  del  grado  della
colpa del responsabile,  la  disciplina  vigente  prevede  la  stessa
sanzione  della  revoca  della  patente  di  guida,  con  inevitabile
discriminazione della fattispecie meno grave, rispetto alla quale  la
misura sanzionatoria si rivela assolutamente sproporzionata. 
    Come  noto,  il  principio  di  uguaglianza  ex  art.   3   della
Costituzione puo' essere violato sia  nella  ipotesi  di  trattamento
differenziato di situazioni sostanzialmente identiche, sia in  quella
di trattamento identico di situazioni sostanzialmente diverse. A  tal
riguardo, si richiama la sentenza della Corte  costituzionale  n.  53
del 1958 che, seppur risalente, merita di  essere  segnalata  per  la
speciale chiarezza con cui fu illustrato il fondamento della  seconda
forma di violazione del principio di uguaglianza teste  indicata.  In
tale occasione la Corte, nel ribadire il proprio orientamento secondo
cui l'obbligo del legislatore di trattare in modo eguale i  cittadini
non esclude  che  esso  possa  dettare  norme  diverse  per  regolare
situazioni diverse, adeguando la disciplina giuridica  ai  differenti
aspetti  della  vita  sociale,  ebbe  modo  di  precisare  che   tale
«interpretazione contiene implicita  l'affermazione  (che,  piu'  che
un'ulteriore elaborazione del principio, ne costituisce un  aspetto),
che  a  situazioni  diverse  non  puo'  essere  imposta   un'identica
disciplina legislativa. Una legge che pareggiasse situazioni che sono
oggettivamente  diverse,   violerebbe,   del   pari,   il   principio
dell'uguaglianza e contrasterebbe con le ripetute affermazioni  della
Corte, secondo le quali e' da ritenere  costituzionalmente  legittimo
il  diverso  regolamento  legislativo  di  situazioni   diverse.   La
diversita' delle due ipotesi e', in realta', una diversita' meramente
apparente, che non toglie la loro sostanziale  identita',  la  quale,
percio', esige una concorde soluzione del  problema  di  legittimita'
costituzionale, che esse possono proporre in riferimento al principio
contenuto  nell'art.  3  della   Costituzione.   Vero   e'   che   la
giurisprudenza di questa Corte ha anche costantemente  affermato  che
la valutazione  delle  diverse  situazioni  e'  riservata  al  potere
discrezionale del legislatore e  sottratta  percio'  al  giudizio  di
legittimita' costituzionale. Ma e' anche vero che non si  contraddice
a  queste  affermazioni,  ne'  si  compiono  valutazioni  di   natura
politica, e nemmeno si controlla l'uso del potere  discrezionale  del
legislatore, se si dichiara  che  il  principio  dell'eguaglianza  e'
violato, quando  il  legislatore  assoggetta  ad  una  indiscriminata
disciplina situazioni che esso stesso considera e dichiara diverse.». 
    Ebbene, si ritiene che  tale  incongruenza  sia  ravvisabile  nel
nostro caso. 
    E infatti  lo  stesso  legislatore  a  considerare  di  rilevante
diversita' i casi, rispettivamente, del  reato  di  lesioni  stradali
gravi, in  cui  venga  riconosciuta  l'attenuante  ex  art.  590-bis,
settimo comma del codice penale, da un lato, e,  dall'altro,  i  casi
del  reato  di  lesioni  stradali  gravissime,  aggravato  ai   sensi
dell'art. 590-bis, commi 2-6, e di omicidio colposo ex art.  589-bis,
primo  comma;  nello  specifico,  tale  diversita'  si  desume  dalle
rispettive pene detentive: da tre mesi a un  anno,  riducibile  della
meta', nella prima ipotesi, a fronte di una pena da quattro  a  sette
anni per il reato di lesioni stradali  gravissime  ex  art.  590-bis,
comma 2, e da due a sette anni per l'omicidio stradale non aggravato.
Il fatto che il legislatore abbia previsto una sanzione penale  cosi'
diversa  per  le  ipotesi  sopra  specificate  (il  minimo   edittale
dell'ipotesi meno grave, ridotto  della  meta'  per  l'attenuante  ad
effetto speciale, e' trentadue volte  inferiore  al  minimo  edittale
previsto per le lesioni gravissime ex art. 590-bis,  comma  2)  prova
che egli le considera non assimilabili in  termini  di  gravita':  ne
consegue la irragionevolezza della scelta di assoggettare alla stessa
sanzione  della  revoca  della  patente  ipotesi  riconosciute   come
sostanzialmente diverse. 
    Ne' d'altra parte si puo' ritenere che la  revoca  della  patente
trovi  giustificazione  nella  specifica  funzione   della   sanzione
amministrativa in esame. 
    La Corte costituzionale ha avuto modo di precisare che la  revoca
della patente di cui all'art. 120 del codice stradale non  ha  natura
sanzionatoria,   ne'   costituisce   conseguenza   accessoria   della
violazione di una  disposizione  in  tema  di  circolazione  stradale
(cfr., sentenza n. 22 del 2018). Tale affermazione non puo'  tuttavia
essere estesa anche alla  revoca  della  patente  di  guida  prevista
dall'art. 222, comma secondo, quarto periodo, poiche' in questo  caso
la sanzione costituisce  un  effetto  automatico  della  condanna  (o
dell'emissione della sentenza di patteggiamento) in ordine  ai  reati
di  cui  agli  articoli  589-bis   e   590-bis,   che   presuppongono
necessariamente la violazione di una norma del  codice  stradale.  Si
tratta  dunque,  nel  nostro  caso,  di  una   sanzione   di   natura
interdittiva     che     risponde     alla     duplice      finalita'
retributivo-punitiva, da un lato, e preventivo-dissuasiva dall'altro.
D'altra parte, la principale finalita' di prevenzione  e  dissuasione
di tale sanzione si evince chiaramente dagli interventi dei  relatori
di  maggioranza  nel  corso  dei  lavori  preparatori  alla   novella
normativa. 
    Cio' detto, si tratta allora di capire  se  la  previsione  della
revoca della patente di guida anche per il caso  di  condanna  (o  di
emissione della sentenza di patteggiamento) in  ordine  al  reato  di
lesioni personali  stradali  gravi,  attenuato  ai  sensi  del  comma
settimo  dell'art.  590-bis,  possa  trovare  giustificazione   nelle
specifiche finalita' appena indicate. 
    Ebbene, quanto alla finalita' retributivo-punitiva, logica  vuole
che la sanzione  sia  commisurata  alla  gravita'  della  infrazione,
desumibile, questa, sia dalla gravita' dell'offesa sia dal  grado  di
colpa del responsabile. Ne consegue  l'irragionevolezza  della  nuova
previsione in relazione ad entrambi i parametri  indicati:  sotto  il
primo  profilo,  infatti,  la  lesione  personale   grave   determina
un'offesa sensibilmente inferiore  rispetto  alla  lesione  personale
gravissima o addirittura all'omicidio stradale (pensiamo alla lesione
da cui sia derivata una  malattia  della  durata  di  quarantaquattro
giorni, come nel nostro caso, a fronte della morte della vittima o di
una lesione che abbia provocato una invalidita' permanente assoluta).
Ma analoghe considerazioni valgono anche  per  la  valutazione  della
colpa del responsabile, dato che nell'ipotesi  di  lesioni  personali
gravi, attenuata ai sensi del comma settimo, il grado  di  colpa  del
responsabile  e'  significativamente  inferiore  rispetto  a   quello
ravvisabile  in  capo  al  soggetto  accusato  di  lesioni  personali
gravissime, aggravate ai sensi dei commi 2-6  dell'art.  590-bis.  La
previsione della stessa  sanzione  della  revoca  della  patente  per
ipotesi cosi' diverse non puo' dunque giustificarsi in relazione alla
finalita' retributiva della stessa. 
    Ma    analoga    conclusione    vale     per     la     finalita'
preventivo-dissuasiva. Come  e'  stato  autorevolmente  sostenuto  in
dottrina, la previsione di una sanzione sproporzionata produce  quasi
sempre effetti opposti a quelli  voluti,  risolvendosi  di  fatto  in
un'imposizione  ingiusta  e  arbitraria,  vissuta   come   tale   dal
sottoposto. D'altra parte, se la revoca della patente  ha  lo  scopo,
oltre che di punire il responsabile, anche di interdire  dalla  guida
quei  soggetti  che  abbiano  dimostrato   nei   fatti   la   propria
pericolosita', e' ragionevole che la  sanzione  sia  rapportata  alla
gravita'  della  colpa,   essendo   il   livello   di   pericolosita'
direttamente proporzionale al  grado  di  essa.  La  disposizione  in
esame,  invece,  prevede  la  stessa  sanzione  rispetto  ad  ipotesi
significativamente diverse sotto il profilo del grado di colpa: basti
pensare che la fattispecie oggetto di  questo  procedimento,  in  cui
l'evento si e' verificato anche a causa del  concorso  colposo  della
persona offesa, e' equiparata, quanto alla revoca  della  patente  di
guida, a quella di un soggetto che si sia posto alla guida  in  stato
di ebbrezza alcolica e, procedendo  contromano,  abbia  provocato  un
incidente da cui siano derivate lesioni gravissime. 
    Dunque, le specifiche  finalita'  della  sanzione  in  esame  non
giustificano affatto la previsione di  un  trattamento  identico  per
tutte le ipotesi indicate,  ma  anzi  finiscono  coll'evidenziare  la
macroscopica incongruenza di una scelta che  non  tiene  conto  delle
sostanzialita' diversita' tra di esse. 
    Sotto altro  profilo,  si  evidenzia  come  l'accoglimento  della
presente questione non lascerebbe priva di sanzione amministrativa la
fattispecie oggetto di questo procedimento. Con la  dichiarazione  di
parziale illegittimita' costituzionale della norma, infatti, in  caso
di lesioni personali stradali gravi,  attenuate  ai  sensi  dell'art.
590-bis, comma 7 del codice penale, si applicherebbe la  disposizione
di cui all'art. 222, comma 2, secondo periodo, che prevede, come gia'
visto, la sospensione della patente di guida fino a due  anni  -  una
sanzione,   questa,   proporzionata   alla   gravita'   dell'illecito
desumibile dall'entita'  dell'offesa  e  dal  grado  della  colpa,  e
percio' idonea ad eliminare la  sperequazione  normativa  denunciata.
Come  gia'  segnalato  in  precedenza,  la  Corte  di  cassazione  ha
precisato che la sospensione della patente, ai sensi  dell'art.  222,
comma 7, secondo periodo, si applica  in  tutti  i  casi  di  lesioni
personali conseguenti alla violazione delle norme del codice stradale
(sentenza n. 36759/18, cit.),  sicche'  la  stessa  sanzione  sarebbe
certamente applicabile anche al caso di  lesioni  personali  stradali
gravi, attenuate ai  sensi  dell'art.  590-bis,  comma  7,  ove  tale
specifica ipotesi non rientrasse piu' nel campo applicativo del comma
quarto del medesimo art. 222 a seguito della  pronuncia  di  parziale
incostituzionalita' che qui si sollecita.